Si avvicina la seconda domenica di luglio, la
festa patronale della mia parrocchia: è arrivato il momento di
cominciare a procurarsi gli ingredienti per la torta di latte o torta
nera o torta paesana o (ma solo per pochissimi) torta del paese: ognuno
nei dintorni la chiama un po’ come crede: questa torta è tipica della
parte di Brianza in cui vivo e siccome ogni paesino è diverso
dall’altro e all’interno del paese ogni località, corte o contrada è
diversa dall’altra, allora anche i nomi cambiano.
Così come cambiano gli ingredienti: latte (da qui il primo nome, che in dialetto si traduce con turta de lac – con la “c” ciccia-), michette di qualche giorno prima (detto pan pos,
cioè pane posso e quindi secco), cioccolato e cacao (da qui il secondo
nome), biscotti secchi, amaretti, canditi, uvette, pinoli, burro, uova,
zucchero e niente lievito. Inizialmente predominavano pane e latte
(beh, in campagna non mancavano mai) poi la ricchezza ha aggiunto tutto
il resto con più abbondanza; inoltre era una torta che si faceva
esclusivamente per la patronale (quindi una volta all’anno, ahimè…) e
quindi gli ingredienti venivano accumulati pian piano nella dispensa.
Passiamo alle quantità: ci risiamo, ogni famiglia (o gruppi di famiglie
della stessa cascina) ha una ricetta diversa…e ovviamente ognuna è
giusta!! Non andare MAI a dire ad una signora “ah, ma io la faccio
diversa”, questa ti risponderà indignata “alura, maiatela te”
(allora, mangiatela te!”). Ogni mamma tramandava alla figlia la ricetta
oralmente (e senza l’uso della bilancia) e si sa come vanno le cose
quando non sono nero su bianco: cambiano sempre un po’, quindi questa
diversità non stupisce per niente!
Ogni donna preparava l’impasto a casa propria nel secchio del latte
(ovviamente si preparava in quantità: primo perché le famiglie erano
numerose, poi perché la si scambiava con i vicini o la si dava a chi
non poteva farla, ma soprattutto perché si conservava per diversi
giorni): la sera prima metteva il pane nel latte e ve lo lasciava tutta
notte, la mattina aggiungeva biscotti e amaretti fino ad ottenere un
pastone al quale via via aggiungeva gli altri ingredienti: il risultato
era un impasto marrone goduriosissimo (da mangiare crudo è la fine del
mondo: garantito!). A quel punto le signore prendevano ognuna il
proprio secchio e le proprie teglie (tutte diverse tra loro: tanto non
c’è lievito: grandi, piccole, tonde, rettangolari…anche le pentole
andavano benone…ah, la praticità contadina, altro che silicone!) e
andavano dal fornaio che cuoceva tutte le torte del paese: ogni donna
escogitava un marchio da mettere sulla propria torta: un pezzo di
biscotto, un amaretto, i pinoli… ma anche incisioni sulle teglie…guai a
scambiarsi le torte!
A questo punto entravano in gioco i bambini che avevano seguito con la
classica bava alla bocca tutto il processo: quando mai ricapitava nel
corso dell’anno di mangiare una simile leccornia? Le donne evitavano di
togliere completamente l’impasto dal secchio (dopotutto i leccapentola
ancora non esistevano!!!) e mandavano i bambini a “lavare” i secchi…e
qui cominciava la festa: con le mani (col cucchiaio che gusto c’è?)
“spazzolavano” alla perfezione ogni angolino dei secchi (mi madre mi
racconta sempre che mio padre si contendeva sempre il secchio con suo
fratello: una lotta all’ultimo candito!).
Una volte cotte le torte, per tutto il paese si sentiva un profumo
invitante (purtroppo posso solo immaginarmelo pensando a quello che
sprigiona il mio forno…), pensate ai contadini e agli operai che
tornando a casa ne erano avvolti: si capiva immediatamente che la festa
era arrivata!! Nei giorni successivi i vicini si scambiavano pezzi di
torta: allora sulla tavola c’erano fette alte, basse, più chiare, più
scure, più dolci, con la crosta più dura, con gli angoli o senza…ed era
una festa per tutta la famiglia, un momento felice da condividere con
gli altri.
Oggi sono sempre meno le donne che fanno questa torta, ma rimangono
ancora tutte le diversità che rendono bello e familiare questo dolce:
molte ormai la cuociono nel forno di casa (c’è da impazzire a far
entrare più teglie possibili, ovviamente di forme e misure diverse!) ma
le donne più anziane, non rinunciano a portarle dal panettiere per
cuocerle (ognuna con il proprio segno di riconoscimento, ovviamente!).
E con un po’ di esperienza, si può ancora riconoscere l’autrice di una
torta, solo guardando ed assaggiando i dolce.
Ho voluto raccontarvi tutto ciò perché questo dolce è molto famoso nei
paesi vicini al mio e nelle sagre paesane è un must, ma soprattutto
perché è un rito che mi accompagna da sempre e volevo condividerlo con
persone che amano la cucina, ma anche le tradizioni di una volta.
Scusate se mi sono dilungata.