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la cassoeula
19/08/2007

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racconto semiserio su un tipico piatto lombardo
Ancora una volta vorrei raccontarvi una storia...il problema è che il protagonista, o meglio, la protagonista, ha un nome difficile da scrivere perché è un suono tipico del dialetto brianzolo e nella sua trascrizione perde fascino. Comunque io l'ho sempre scritto "cassoeula" e quella serie di vocali "oeu" si pronunciano come una sorta di "o" chiusa...mi sa che faccio prima a chiamarvi uno per uno e pronunciarla che a descrivervi come si fa...

Superato, anche se con difficoltà,lo scoglio del nome, passiamo al contenuto del piatto. Anche in questo caso (come per la torta paesana) non esiste una ricetta, ne esistono infinite e ad ognuno piace la sua. Tra quella fatta da mia madre e quella fatta da mia zia (sorelle) c'è un abisso...indovinate un po' quale preferisco io?! ovvio, quella della mamma! Quindi nessuno si stupisca se la ricetta che conosce è diversa da quella che cercherò di raccontare (approfitto per ricordare che nel ricettario c'è una ricetta di Chiaraeva e una di Pat2910).

In genere questo piatto viene considerato molto pesante, in effetti non è leggero nè tantomeno light perché è un piatto invernale della tradizione lombarda. Le varianti derivano soprattutto dal fatto che le famiglie contadine non potevano sempre permettersi di mettere tutti gli ingredienti del maiale quindi c'erano tante verze (che facevano volume e riempivano lo stomaco insieme alla polenta) e poca carne che insaporiva il tutto (per lo più le parti meno pregiate come piedini, musetto e cotenne).
Alcuni personaggi innovativi hanno pure tentato variazioni sul tema introducendo parti di oca...ma sono stati ben presto isolati...

Per prima cosa occorre procurarsi le verze: l'ideale è che abbiano subito una gelata, quindi bisogna attendere con pazienza i primi freddi, poi bisogna cominciare a pulirle: è un lavoraccio perché le verze cotte si riducono tantissimo e poi perché non si fa mai la cassoeula per poche persone si fa per un numero imprecisato di invitati...perché imprecisato? per due motivi fondamentali:
- il primo è che all'ultimo ti viene sempre in mente qualcuno che l'adora e non puoi non invitarlo,
- il secondo è che quando comincia a spargersi l'odore qualcuno si presenta sempre alla porta e un piatto di cassoeula non rifiuta a nessuno.

Per prima cosa si sgombera il tavolo, si stende una tovaglia, si prende il secchio dell'umido (da quando si fa la raccolta differenziata, prima si usava un secchio che veniva svuotato nel "roe" -la pronuncia è assolutamente impossibile da spiegare- cioè nel mucchio di quello che oggi si chiamerebbe compost).
Quindi si prendono intere cassette di verze, si tolgono le foglie esterne più scure e dure, si sfogliano le verze togliendo le coste centrali più dure ("ul bacheton") di ogni foglia e si ammucchiano.

Nota importante: le verze non si lavano, mai, altrimenti la cossoeula "la resta sbiavida" (sbiadita, slavata).

Fatta questa operazione la padrona di casa lascia la cucina e si avventura in qualche luogo misterioso della casa (stanzini segreti, armadi altissimi, sottoscala bui e tempestosi...) e ritorna poco dopo con una pentola gigantesca di alluminio (con tanto di coperchio): ogni volta tutti si chiedono allibiti dove mai possa stare un pentolone simile, ma nessuno osa chiederlo e pertanto rimane un segreto celato ai più...
A questo punto si mette nel pentolone il classico trio sedanocarotecipolle tagliato grossolanamente e un filino (ma poco poco) di olio, si soffrigge un pochino poi si mettono le costine (quante non è dato saperlo, si va a occhio...) e le cotenne del maiale (le cotiche).
A questo punto la padrona di casa (che detiene il potere grazie al possesso del cucchiaione di legno) si guarda in giro...nessuno fiata...è il momento topico che accende le più vive discussioni (in genere accompagnate da abbondante vino rosso, ovviamente): aggiungerà o no i piedini, il musetto, i codini, i salamini?? Alla fine è la padrona di casa a scegliere (ricordate il cucchiaione del potere? beh, non serve solo a girare la cassoeula...).
Fatto rosolare un po' il tutto si toglie la carne e la si mette da parte, lasciando il grasso che ha cominciato a sciogliersi.
Si cominciano a mettere le verze: si riempie la pentola, si sala un pochino, si copre col coperchione. Man mano che le verze perdono di volume si aggiungono le altre finché finiscono. A questo punto si rimette la carne, si mescola tutto e si aggiunge un po' di salsa di pomodoro. Si lascia cuocere coperta girando ogni tanto (quel tanto che basta per non farla attaccare).

La cassoeula è un rito e come tutti i riti ha un suo cerimoniale: innanzitutto la polenta è d'obbligo. In genere deve essere abbastanza soda per poter stare su un tagliere senza andarsene in giro per il tavolo.
A onor del vero c'è chi la cassoeula la mangia con il pane ("la michetta", da pronunciarsi con una "e" bella aperta) ma viene guardato con sospetto, quindi se vi trovaste a mangiare la cassoeula per la prima volta e vi venisse offerto del pane rifiutate con palese orrore nello sguardo (non cascateci, sicuramente è un test per vedere se siete degni della cassoeula!!).
Altro rito è la grappa: prima di sedersi al tavolo l'amico più compagnone del gruppo estrae una bottiglia di grappa di qualità e tutti ne bevono un bicchierino...dicono che serva a rendere la cassoeula più digeribile (ma temo che lo scopo principale sia quella di "riscaldare" la compagnia che in fondo è il condimento migliore della cassoeula!). Durante il pasto si beve vino rosso in genere portato dagli invitati e dopo cena... altro giro di grappa: dopo aver fatto il fondo dello stomaco perché non farci pure il tappo??!!

Molto spesso con la polenta rimasta viene servito il gongorzola, che deve essere bello dolce e cremoso...vi sembrerà strano ma c'è qualcuno che ha ancora la forza di mangiare!

Ovviamente l'attività preferita del dopo-cassoeula è il riposo: si sta belli sereni a chiacchierare e ridere per tutto il tempo che si vuole (la padrona di casa gongola per i complimenti e quindi depone conciliante il cucchiaione...con un sospiro di sollievo corale...)
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(*)  Legge del 22 aprile 1941 n° 633. Cfr anche Il diritto d'autore in internet.

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