meditazioni semiserie sull'origine della minestra.
MINESTRE PAPPE E ZUPPE
Ehi, siete soli davanti al monitor?
Allora provate a pronunciare, a mezza voce, queste parole: Pastasciutta, Risotto, Minestra.
Avete visto che diversità?
Quella U dall’accento tonico v’induce a chiudere le labbra, quasi a mimare un bacio e la S dolce, suadente, fa del risotto quasi un segreto sussurrato in confidenza.
Ma quella E grave della minestra, guardate come costringe ad allargare sguaiatamente la bocca, osservate l’inelegante caduta della mascella e poi quelle tre consonanti ammucchiate, stridenti…str…str…
Fateci caso, contro la povera minestra si alleano proverbi e modi di dire quali “se non è zuppa è pan bagnato” “è come una minestra riscaldata”, per raggiungere l’apice dell’astio in quell’adagio che ad ognuno di noi è toccato di sentirsi ripetere: “ o mangi questa minestra o salti da quella finestra”.
Ora io mi chiedo come sia possibile che nessun genitore si sia mai reso conto di ingenerare, avvalorare, ingigantire nell’animo infantile la convinzione che la minestra sia cibo talmente nefando, repellente e ignobile da dovervi ricorrere solo sotto la minaccia di un salto nel vuoto, evento terribile ed estremo, stando a quanto riferito dai genitori stessi, sempre pronti a ripetere “non ti sporgere” o “guarda di non cadere”.
E poi che angoscia l’alternativa subdola alla suddetta minaccia, cioè il “pensa al bambino povero che non ce l’ha” e al malcapitato fanciullino, astenendosi per rispetto filiale e reverenziale timore dal rispondere “dategliela a lui allora!” non resta che interrogarsi sulle possibilità dialettiche offerte dall’evangelico essere “poveri in spirito”.
E pensare che la parola Zuppa deriverebbe dal sanscrito “zu” e “pa”, rispettivamente “buono” e “nutrimento”.
Spiegatelo voi ad un bambino, che guarda con livore il suo piatto di zuppa che, fin dai tempi biblici c’era chi s’era venduto la primogenitura per una minestra di lenticchie o che, secoli e secoli prima di Cristo, un gastronomo cinese Scing Nang aveva già codificato una serie di erbe per le zuppe.
Raccontate magari al neghittoso pargolo quali tappe fondamentali per la sua alimentazione siano state l’invenzione della vanga e dell’aratro e la coltivazione dei cereali, origine prima di zuppe e farine da cui ricavare creme.
Davanti alla minestra un pargoletto tenderà persino a rivalutare la figura del famigerato Dionisio I il Vecchio, tiranno di Siracusa, che, come diremmo noi “non si faceva mancare niente” e fece pertanto arrivare da Sparta un cuoco famoso per farsi preparare il famoso “brodetto nero”, la specialità locale. Ecco, pare che l’efferato tiranno (quello che ha costretto tutti gli studenti della mia generazione a tradurre dal greco e dal latino l’aneddoto della lungimirante vecchietta) abbia sputato l’immonda schifezza in faccia al cuoco…segno che oltre ad avere tirannica potestà non aveva genitori né finestre da saltare.
Magari un po’ più accettabili saranno state le pappette per cui andavano matti i Romani (come testimoniato anche da Plauto e da Plinio) tipo la “puls” di farina di frumento, la “fitilla” di farina di miglio” e la “alica” fatta con la fecola e poi arricchita, secondo una variante introdotta da Catone, copiata da un’idea dei Fenici, con formaggio, mele e noci. Apicio suggerisce, dal canto suo, aggiunta di cervella o altre carni.
L’innovazione del brodo di carne per cuocere le minestre venne introdotta dai Benedettini di Saint Germain des Près, famosa era, infatti, una minestra con il nome dell’abbazia.
Chissà poi se, per convincere trecenteschi riluttanti pargoli i medievali genitori ricorrevano alle regole della Scuola Salernitana:
“della zuppa hai quattro effetti
gli occhi aguzzi e i denti netti,
al mancante essa provvede
essa leva quel che eccede”
Pare che persino Giovanna d’Arco fosse assai ghiotta di zuppa di vino annacquato con fette di pane (che magari le “voci” fossero frutto di scarsa annacquatura?).
E che dire della famosa minestra “Crecy”, creata per consolare Filippo VI di Francia della sconfitta subita nell’omonima località? Il che non fu neppure un caso unico, dato che anche la “zuppa pavese” pare sia nata per confortare Francesco I, sconfitto, appunto a Pavia, dall’esercito di Carlo V.
Non a caso si parla di personaggi francesi, fu, infatti, in tale nazione che la “soupe” toccò l’apice della popolarità e della ricercatezza, ne fa fede la passione della regina Margherita di Navarra, che amava sperimentare sempre nuovi ingredienti e accostamenti e che diede vita alla zuppa di mandorle bollite nel brodo e alla minestra che, da lei, prese il nome di “minestra Regina Margot”.
Ah, queste donne d’un tempo, esempi di cortigiana sapienza, pratica saggezza e domestiche virtù!
Il buon Luigi XIV poteva ben contare non solo sui favori di Madame de Maintenon, ma anche sulle tonificanti virtù della zuppa di fagioli ideata dalla dama stessa.
E pure la Marchesa Pompadour, sfiorite altre sue effimere grazie, seppe ricorrere ad una zuppa di tartufi per contendere a più giovani e fresche beltà l’interesse regale.
Eh, sì, gli appassionati di minestre furono tanti: il Cardinale Alberoni, il Duca Richelieu., Luigi XVI (…le amava tanto che …ci perse la testa…) però a qualcuno tale amore fu fatale, dato che la consistenza e la varietà di ingredienti facevano delle minestre il ricettacolo ideale di veleni, mezzo assai diffuso per eliminare regnanti ed avversari politici. Vedasi, ad esempio, la famosa “Zuppa del giovedì” svedese, a base di piselli secchi, così chiamata perché, proprio in un giovedì del 1569 fece da tramite al veleno che tolse dalla scena Enrico XIV.
Ma, suvvia, non siamo pessimisti e finiamo in allegria al suono della sinfonia del Barbiere di Siviglia, composta da Rossini; pare dopo una scorpacciata di una certa minestra da lui creata.
E la vostra minestra preferita qual'è?
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