Mettere l'acqua nel paiolo (possibilmente di rame; questo non lo è, purtroppo... ma "a caval donato...") e portarla a bollore. Aggiungere il sale.
Versare a pioggia la farina, avendo cura che non faccia grumi.
Mescolare bene la farina, per rompere gli eventuali grumi sfuggiti (in veneto "munari" = mugnai).
Le brave massaie a questo punto mescolavano ogni 4- 5 minuti con mestoli di legno appositti, che qui si chiamano "mescole".
Mentre, qui facciamo una concessione alla tecnologia.
L'unico limite di questo sistema, è che sul fondo del paiolo non si forma la crosta, vera ghiottoneria da staccare e rosicchiare (i "nachos" dei veneti...)
Dopo 40 - 45 minuti, quando si stacca da sola dal fondo - se si è fatta quella soda, la polenta è pronta. Gli ultimi minuti meglio mescolare più vigorosamente.
L'ideale sarebe ora versala con un colpo secco sul "panaro", il tagliere rotondo tipico su cui si serve la polenta. Ci vuole una abilità che io purtroppo non possiedo (neppure il "panaro" possiedo...); quindi la si impiatta.
Se è soda la serve tagliata a fette (meglio con un filo di refe). Se è cremosa, come in questo caso, a cucchiaiate. É l'accompagnamento perfetto di secondi piatti in umido, con abbondante sugo: il "tocio". Perchè la polenta, servita con il tocio, riempiva la pancia dei poveri. senza bisogno di grandi quantità di carne.
Altro accompagnamento tipico del vicentino è con il baccalà. Alla vicentina naturalemente. A Venezia, invece, sempre con il baccalà, ma mantecato.
Il giorno dopo, la polenta divenuta ormai soda, la si taglia a fette e la si serve grigliata o fritta, con formaggio, funghi, o ancora "tocio"...
"Se il mare fusse tocio e i monti de polenta
ohi mamma che tociade...
polentà e baccalà!"